Incentivi: pubblicato in G.U. il Codice per armonizzare e semplificare le agevolazioni alle imprese

 

Il D.Lgs. 27 novembre 2025, n. 184, istituisce il Codice degli incentivi, definendo i principi generali per l’armonizzazione della disciplina relativa ai procedimenti amministrativi concernenti le agevolazioni alle imprese.

Il Codice definisce i principi generali che regolano i procedimenti amministrativi concernenti gli interventi che prevedono agevolazioni alle imprese, al fine di armonizzare la disciplina di carattere generale in materia di incentivi.

 

Ai sensi dell’articolo 1, sono soggette alla disciplina del nuovo codice le agevolazioni riconosciute in una delle forme di cui all’articolo 12; mentre le disposizioni non si applicano agli incentivi fiscali che non prevedono lo svolgimento di attività istruttorie valutative, compresi quelli rispetto ai quali le verifiche sono circoscritte al rispetto del limite di risorse stanziate, per i quali resta ferma l’applicazione della disciplina di settore, salvo quanto previsto dai commi 2 e 3 dell’articolo 19, nonché agli incentivi fiscali in materia di accisa, che rimangono disciplinati dalla legislazione di settore. Ne sono, altresì, esclusi gli incentivi contributivi, fatto salvo quanto previsto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 19. 

Sono definite “agevolazioni fiscali” quelle agevolazioni che, in deroga al regime fiscale ordinariamente applicabile, comportano una riduzione, parziale o totale, della base imponibile o dell’ammontare dell’imposta o della tassa, ovvero un differimento o un annullamento del debito fiscale, nonché una riduzione dei versamenti dovuti. Gli incentivi fiscali sono le misure di incentivazione che prevedono tali agevolazioni. La delocalizzazione consiste nel trasferimento di un’attività economica incentivata, o di una sua parte, dal sito produttivo incentivato ad altro sito, da parte della medesima impresa beneficiaria o di altro soggetto che ne venga in controllo (articolo 2).

 

Si segnala, in particolare, l’articolo 16 del nuovo Codice, il quale disciplina i casi di incentivi per la realizzazione di investimenti localizzati nel territorio nazionale.
Nel caso di delocalizzazione in favore di un’altra unità produttiva situata in ambito nazionale, dell’Unione europea o degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo, le imprese beneficiarie decadono dalle agevolazioni fruite se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

– gli incentivi erano diretti ad una zona specifica del territorio nazionale e la delocalizzazione comporta un trasferimento di attività al di fuori dell’area ammissibile all’incentivo;

– l’operazione di delocalizzazione avviene prima di cinque anni dalla data di completamento dell’investimento.
La decadenza comporta l’obbligo di restituzione dell’importo degli incentivi fruiti in relazione all’attività delocalizzata, con le maggiorazioni di cui all’articolo 17, comma 4.
Nel caso di delocalizzazione in favore di un’altra unità produttiva situata in Stati non appartenenti all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, le imprese beneficiarie decadono da tutte le agevolazioni fruite per gli investimenti realizzati (anche se non diretti ad una specifica zona del territorio nazionale), se l’operazione avviene prima dei cinque anni dal completamento dell’investimento agevolato o, per le grandi imprese, dieci anni dalla medesima data. Oltre alla restituzione dell’importo degli incentivi fruiti con maggiorazioni, le amministrazioni responsabili irrogano una sanzione amministrativa pecuniaria in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.
Le imprese beneficiarie devono comunicare preventivamente l’avvio dell’operazione di delocalizzazione al Ministero delle imprese e del made in Italy (almeno 90 giorni prima per le PMI, e 180 giorni per le grandi imprese). L’assenza di tale comunicazione determina la nullità degli eventuali licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e dei licenziamenti collettivi relativi all’unità produttiva interessata.

Alle imprese per le quali è stata accertata la decadenza per delocalizzazione in Stati non UE/SEE è precluso l’accesso ad altri incentivi del Codice per i successivi cinque anni (o 10 anni per le grandi imprese).
La decadenza, il divieto di accesso e le sanzioni amministrative si applicano anche in caso di cessazione definitiva dell’attività produttiva o di una parte significativa della stessa, con contestuale riduzione di personale superiore al 40% (su base annua). In tale evenienza, la decadenza comporta la restituzione degli incentivi percepiti negli 10 anni antecedenti la data di avvio della procedura di cessazione.

 

L’articolo 19, intitolato “Regime speciale per gli incentivi fiscali e per gli incentivi contributivi“, affronta invece la disciplina del credito d’imposta in due contesti:

  • Incentivi fiscali con attività istruttoria valutativa (comma 1);
  • Crediti d’imposta senza attività istruttoria (comma 2).

Agli incentivi fiscali che richiedono, per l’ammissione, lo svolgimento di un’attività istruttoria valutativa (di carattere tecnico, economico e finanziario) rispetto ai requisiti del proponente o dell’iniziativa, si applica la disciplina del nuovo codice. Restano comunque ferme le modalità di fruizione, di controllo e di recupero delle agevolazioni, nonch le ulteriori conseguenze in caso di illegittima fruizione, come definite dalla disciplina di settore.

Per gli incentivi fiscali fruiti nella forma del credito d’imposta che non prevedono lo svolgimento dell’attività istruttoria, la fruizione è subordinata alla preventiva comunicazione da parte del richiedente al soggetto competente. La comunicazione deve indicare l’ammontare complessivo delle agevolazioni di cui si intende fruire e la presunta ripartizione negli anni della fruizione stessa. Devono essere fornite anche le ulteriori comunicazioni richieste dalla disciplina dell’incentivo successivamente all’avvenuto sostenimento delle eventuali spese previste. Il soggetto competente comunica tali dati mensilmente al Ministero dell’economia e delle finanze ai fini del monitoraggio. L’attività di controllo e di recupero per tali crediti d’imposta resta soggetta alla disciplina di settore.

 

Gli incentivi fiscali che costituiscono aiuti di Stato o sono fruiti in regime de minimis, sono attivati solo dopo che l’Autorità responsabile abbia provveduto a registrare il relativo regime di aiuto nel Registro nazionale degli aiuti di Stato (RNA) e nei registri SIAN e SIPA (articolo 19, comma 3).
Agli incentivi contributivi la disciplina del Capo III (Attuazione degli incentivi) si applica limitatamente alle disposizioni relative all’articolo 16. L’attuazione di tali incentivi resta soggetta alla disciplina di settore e a essi non si applicano le disposizioni relative al Programma degli incentivi di cui all’articolo 4 (articolo 19, comma 4).

 

Le disposizioni di cui all’articolo 19 si applicano agli incentivi fiscali e agli incentivi contributivi istituiti con legge successivamente alla data di entrata in vigore del codice (articolo 25 “Disposizioni transitorie e di coordinamento”).

 

Disposizioni attuative per l’applicazione del regime transfrontaliero di franchigia IVA

 

L’Agenzia delle entrate ha disposto le misure attuative per l’applicazione del regime transfrontaliero di franchigia previsto dal Titolo V-ter, Capo I, Sezioni I, II e III del decreto del D.P.R. IVA (Agenzia delle entrate, provvedimento 10 dicembre 2025, n. 560356).

L’emanazione del nuovo provvedimento dell’Agenzia è motivata dall’attuazione della Direttiva (UE) 2020/285 (che modifica la Direttiva 2006/112/CE riguardante il Regime Speciale per le piccole imprese), attuazione disposta tramite il D.Lgs. n. 180/2024.

Il provvedimento ha lo scopo di definire in modo specifico i controlli che l’Agenzia delle entrate è tenuta a compiere sugli adempimenti. Tali controlli riguardano sia i soggetti stabiliti in Italia che intendono beneficiare del regime di franchigia in altri Stati membri (Stati di esenzione) sia i soggetti non stabiliti che scelgono di applicare il regime di franchigia nel territorio italiano.

 

L’Agenzia delle entrate sottopone i dati contenuti nella comunicazione preventiva (resa da soggetti stabiliti in Italia) a controlli di conformità, confrontandoli con gli altri dati a sua disposizione.
I controlli riguardano la congruenza del volume d’affari indicato nella comunicazione preventiva rispetto a:

  • i dati fiscali delle fatture elettroniche emesse tra soggetti residenti, stabiliti o identificati in Italia, o verso la Pubbliche Amministrazioni;
  • i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e servizi verso soggetti non stabiliti;
  • i dati dei corrispettivi giornalieri memorizzati e trasmessi telematicamente;
  • i dati presenti nelle dichiarazioni annuali IVA e nelle comunicazioni delle liquidazioni periodiche IVA.

Se gli importi riscontrati sono difformi da quelli comunicati, il contribuente riceve un messaggio di scarto con la motivazione “Incongruenza sui dati dei volumi d’affari comunicati”, e può presentare una nuova comunicazione preventiva a partire dal giorno successivo.

 

I controlli verificano anche il rispetto delle soglie stabilite dal D.P.R. IVA:
1. Il volume d’affari annuo dell’Unione europea non deve essere stato superiore a 100.000 euro nell’anno civile precedente alla comunicazione. Se superata, la richiesta può essere ripresentata dall’anno successivo.
2. Il volume d’affari annuo dell’Unione europea non deve essere stato superiore a 100.000 euro nel periodo dell’anno civile in corso precedente alla comunicazione. Se superata, la richiesta può essere ripresentata a partire dal secondo anno successivo.
3. Il volume d’affari annuo realizzato nello Stato di esenzione non deve superare la soglia prevista da tale Stato. Il superamento è verificato tramite il portale dedicato della Commissione Europea, e il contribuente potrà presentare una nuova comunicazione nei termini previsti da quello Stato di esenzione.

 

L’Agenzia verifica inoltre il rispetto dei termini per la presentazione di una nuova comunicazione a seguito del superamento di una di queste soglie.

 

L’Agenzia assegna il suffisso EX al soggetto passivo, aggiungendolo al numero di partita IVA, una volta ricevuta risposta positiva dagli Stati di esenzione che hanno ammesso il soggetto al regime. Tuttavia, se trascorsi 35 giorni lavorativi dalla ricezione della comunicazione uno o più Stati di esenzione non hanno risposto, l’Agenzia assegna comunque il suffisso EX, a meno che lo Stato di esenzione non abbia richiesto un termine maggiore per effettuare verifiche.

 

Le Entrate verificano, inoltre, i termini di presentazione della comunicazione trimestrale e la congruenza dei dati dichiarati, del volume d’affari e del rispetto delle soglie nazionali e unionali. La mancata presentazione delle comunicazioni trimestrali comporta l’invio di messaggi agli altri Stati membri.

 

L’Agenzia disattiva tempestivamente il suffisso EX quando il soggetto passivo cessa l’attività o in caso di cessazione d’ufficio della partita IVA.

La cessazione dell’attività si presume, in assenza di informazioni contrarie, se sono trascorsi otto trimestri civili durante i quali sono state trasmesse comunicazioni trimestrali con importi pari a zero in uno o più Stati di esenzione e, contemporaneamente, non risultano trasmessi i dati delle operazioni verso soggetti stabiliti in tali Stati. In questi casi, la disattivazione del suffisso EX viene notificata al contribuente nella sua area riservata sul sito dell’Agenzia, e vengono inviati i messaggi di cessazione agli Stati di esenzione interessati. Per rientrare nel regime, il soggetto deve presentare una nuova comunicazione preventiva, osservando le “quarantene” eventualmente previste dagli Stati di esenzione.

 

Se l’Agenzia riceve due messaggi consecutivi dagli Stati di stabilimento dei soggetti non stabiliti, ammessi al regime di franchigia in Italia, relativi alla mancata presentazione delle comunicazioni trimestrali, l’Agenzia comunica allo Stato di stabilimento che il soggetto non stabilito deve identificarsi in Italia e presentare la dichiarazione IVA annuale.

 

Case mobili in legno chiavi in mano: il trattamento IVA

 

L’Agenzia delle entrate esamina il trattamento IVA della cessione di case prefabbricate modulari ”chiavi in mano” da parte di un soggetto passivo UE a un cliente privato italiano (Agenzia delle entrate, risposta 4 dicembre 2025, n. 304).

L’Istante è un soggetto passivo IVA registrato in uno Stato Membro dell’UE, che aderisce al regime One Stop Shop (OSS) e svolge l’attività di produzione di case a telaio e di case modulari prefabbricate. La Società vende tali prodotti a persone fisiche, non soggetti passivi IVA, residenti in Italia, i quali richiedono l’applicazione delle aliquote IVA agevolate del 4 e del 10%.
L’Istante chiarisce che una casa modulare, diversamente da una casa a telaio, è un prodotto completamente finito: al suo interno sono istallati impianti elettrici, idrici, fognari, ventilazione e tutti i lavori di costruzione e finitura vengono eseguiti direttamente presso lo stabilimento di produzione.

Le case modulari sono completamente pronte per essere abitate. Al riguardo, dunque, i quesiti posti sono:

– se sia possibile assoggettare la cessione di una casa modulare alle aliquote ridotte del 4% e del 10% a seguito del rilascio, da parte del cliente, di una dichiarazione in cui attesta il possesso dei requisiti per l’applicazione di dette aliquote;

– se occorra registrare le relative fatture di vendita presso l’Agenzia delle entrate o altro ente in Italia;

– quali sono le conseguenze in cui incorre nell’ipotesi di applicazione dell’aliquota agevolata sulla base di una dichiarazione/attestazione del cliente rivelatasi falsa.

 

In risposta, l’Agenzia ricorda che l’aliquota IVA agevolata del 4 o del 10% si applica quando l’operazione ha per oggetto una casa costruita e completa, idonea all’uso abitativo, sulla base di un contratto di appalto, stipulato tra l’impresa costruttrice e il cliente. Non è assoggettabile ad aliquota ridotta il mero acquisto dei singoli pezzi.

Dalle informazioni fornite risulta che il cliente acquista una casa “chiavi in mano”, descritta come “case mobili in legno chiavi in mano che uniscono design, autonomia e affidabilità”, utilizzabile come una dimora con la qualità di un’abitazione permanente. La consegna richiede 2/4 giorni, e il posizionamento sulle fondamenta avviene generalmente utilizzando una gru da cantiere per carichi pesanti. Tali caratteristiche inducono a ritenere che la casa modulare in questione sia un bene immobile ai sensi dell’articolo 13-ter, lettera b), del Regolamento di esecuzione UE n. 282/2011. Un bene immobile, ai sensi di tale articolo, è un fabbricato eretto sul suolo o ad esso incorporato che non sia agevolmente smontabile né agevolmente rimuovibile.

L’intenzione di usare la casa come abitazione permanente è preminente quando il cliente chiede l’applicazione dell’aliquota IVA al 4% (agevolazioni prima casa).

Le operazioni di installazione/ancoraggio al suolo, e al pari quelle di smontaggio, richiedono l’impiego di gru, un rimorchio, un camion ecc. e personale qualificato, e pertanto la casa non può essere considerata facilmente smontabile o spostabile. Di conseguenza, le case modulari sono beni immobili, e la loro cessione rientra nel regime naturale dell’esenzione IVA di cui all’articolo 10, primo comma, n. 8-bis) del Decreto IVA.

La cessione è soggetta a imponibilità solo se la Società è considerata impresa costruttrice; in tal caso, ricorrendone le condizioni, può applicare le aliquote agevolate del 4 o del 10%. Resta inoltre fermo l’obbligo di censimento presso il catasto fabbricati per le costruzioni ancorate o fisse al suolo o i manufatti prefabbricati stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale.

 

Trattandosi di beni immobili, la Società non può avvalersi del sistema OSS, in quanto quest’ultimo è riservato alle vendite a distanza di beni mobili. L’Istante è tenuto ad assolvere i relativi adempimenti IVA ricorrendo all’identificazione diretta, ai sensi dell’articolo 35-ter del Decreto IVA, oppure alla nomina di un rappresentante fiscale.

 

In caso di dichiarazione mendace nell’atto di acquisto da parte dell’acquirente, si applicano le disposizioni della nota II-bis, articolo 1 della Tariffa allegata al TUR.

L’ufficio dell’Agenzia delle entrate deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata. Devono inoltre essere irrogate la sanzione amministrativa, pari al 30% della differenza medesima e gli interessi di mora. Mentre, nessuna sanzione è dunque prevista in capo alla Società.

 

Regime piccole imprese: modalità e termini per l’attribuzione del numero di identificazione EX

 

L’Agenzia delle entrate apporta modifiche al precedente provvedimento n. 460166/2024, il quale reca disposizioni attuative del D.Lgs. n. 180/2024, riguardante il regime speciale per le piccole imprese (attuazione della direttiva (UE) 2020/285) e le modalità di trasmissione della comunicazione preventiva (Agenzia delle entrate, provvedimento 4 dicembre 2025, n. 551770).

La modifica specifica riguarda il punto 7.4, secondo periodo, del provvedimento n. 460166/2024. Le parole “Dalla data di trasmissione agli Stati di esenzione” sono sostituite con le seguenti: “Dalla data di ricevimento della comunicazione preventiva da parte dell’Agenzia delle entrate”. Tale modifica, al fine di chiarire la tempistica per l’ammissione al regime di franchigia, precisa il termine di 35 giorni lavorativi per l’assegnazione del suffisso EX decorre dalla ricezione della comunicazione preventiva da parte dell’Agenzia delle entrate. 

Per avvalersi del regime di franchigia in uno Stato di esenzione, i soggetti stabiliti nel territorio dello Stato sono tenuti a effettuare una comunicazione preventiva all’Agenzia. Questa comunicazione è finalizzata all’ottenimento del numero di identificazione EX.
La comunicazione preventiva è trasmessa dal soggetto stabilito attraverso i servizi online dell’Agenzia delle entrate. Essa deve contenere diverse informazioni, tra cui: codice fiscale, denominazione, natura giuridica, domicilio fiscale, attività prevalente/secondarie, dichiarazione di non essere registrato al regime SME-SS in altro Stato di stabilimento, gli Stati di esenzione in cui si intende avvalersi del regime, eventuali altri identificativi IVA, e il volume d’affari nel territorio dello Stato e nei singoli Stati dell’Unione europea nei due anni civili precedenti e nel periodo dell’anno civile in corso precedente la comunicazione preventiva.

Se gli Stati di esenzione hanno soglie differenziate per settori, i volumi di affari devono essere indicati distintamente per ciascun settore.
La comunicazione preventiva può essere trasmessa anche da un intermediario con delega alla consultazione del Cassetto fiscale del richiedente.

La trasmissione della comunicazione preventiva è consentita a decorrere dal 1° gennaio 2025.
La trasmissione è preclusa ai soggetti stabiliti:

  • il cui volume d’affari nel territorio dell’Unione europea sia stato superiore a 100.000 euro nell’anno civile precedente la comunicazione;
  • il cui volume d’affari nel territorio dell’Unione europea sia stato superiore a 100.000 euro nel periodo dell’anno civile in corso fino al momento della trasmissione;
  • il cui volume d’affari nello Stato di esenzione indicato nella comunicazione sia superiore al massimale previsto dalla direttiva SME-SS per ogni singolo Stato.

La correzione di una comunicazione preventiva già trasmessa è consentita entro il termine di cinque giorni lavorativi dalla data di trasmissione. Dopo tale termine, la correzione è inibita fino alla ricezione del riscontro della comunicazione già inviata da parte degli Stati di esenzione.
I soggetti autorizzati devono effettuare l’aggiornamento della comunicazione preventiva se interviene una variazione delle informazioni fornite, quando intendono avvalersi del regime in Stati membri differenti da quelli già indicati, oppure quando decidono di cessare l’applicazione del regime di franchigia in uno o più Stati di esenzione.
La comunicazione preventiva è predisposta e trasmessa mediante la procedura web disponibile nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate.
L’Agenzia delle entrate esegue controlli formali in fase di compilazione e controlli successivi alla trasmissione. Superati i controlli, l’Agenzia trasmette la comunicazione o l’aggiornamento agli Stati di esenzione. Il termine per l’ammissione decorre dalla data di ricevimento della comunicazione preventiva da parte dell’Agenzia delle entrate.
L’Agenzia attribuisce al soggetto stabilito il numero di identificazione EX all’esito positivo del riscontro di almeno uno Stato di esenzione, o alla decorrenza dei termini per mancata risposta da parte degli Stati di esenzione. La procedura web permette la consultazione delle comunicazioni inviate, la correzione, e la consultazione delle ricevute relative agli esiti istruttori e di riscontro.

 

Utilizzo credito da DTA da parte del cessionario: la compensazione non rientra tra le modalità consentite

 

Con la risposta del 4 dicembre 2025, n. 300, l’Agenzia delle entrate si è soffermata sulla cessione dei crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle attività per imposte anticipate (Deferred Tax Assets – DTA).

L’istante ha acquistato dalla crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle imposte anticipate (DTA) di cui all’articolo 2, commi da 55 a 58, del D.L. n. 225/2010. I crediti, chiesti a rimborso in dichiarazione, sono stati ceduti all’istante ai sensi dell’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973.
L’istante, in qualità di cessionaria, chiede se sia possibile utilizzare tali crediti da trasformazione delle DTA in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997. In particolare, chiede se sia possibile estendere al caso concreto l’orientamento espresso con la risoluzione n. 32/E/2025, resa nell’ambito della cessione dei crediti d’imposta da trasformazione delle DTA operata ai sensi dell’articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019. L’istante chiede, inoltre, se sia corretto esporre i crediti ricevuti all’interno del quadro RU del Modello Redditi SC per consentire l’indicazione dell’ammontare dei crediti utilizzati in compensazione.

 

L’Agenzia fa presente che l’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973, che disciplina la cessione dei crediti, prevede che “le disposizioni degli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, si applicano anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi“. La norma stabilisce inoltre che “il cessionario non può cedere il credito oggetto della cessione“.

 

Richiamando la risposta ad interpello n. 253/2025, in tema di cessione di crediti da DTA ex articolo 44-bis del D.L. n. 34/2019, è stato chiarito che l’articolo 43-bis disciplina espressamente le cessioni dei crediti chiesti a rimborso e prevede l’altrettanto espresso divieto di ulteriore cessione.
Secondo l’orientamento già espresso “il cessionario potrà, pertanto, solo monetizzare l’importo del credito acquistato, mediante incasso delle somme oggetto di rimborso senza possibilità di utilizzo in compensazione né di ulteriore cessione”. Tale principio è stato ribadito con la successiva risposta ad interpello n. 259/2025. In questa risposta è stato precisato che “l’acquisto di un credito chiesto a rimborso esclude non solo la possibilità di ulteriore cessione, ma anche la compensazione dello stesso ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997”. Di conseguenza, la compensazione non rientra tra le modalità di utilizzo del credito da DTA da parte del cessionario che ha acquistato il credito ai sensi dell’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973.

 

L’Agenzia ritiene, dunque, che la possibilità di utilizzare in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/1997 un credito ceduto ai sensi dell’articolo 43-bis del D.P.R. n. 602/1973 è esclusa nel caso di specie.